Vino
03 Maggio 2024C'è chi parla di potenziale nuovo asset di mercato per il vigneto Italia, ma per il nostro Paese forse è anche una questione culturale

Un vuoto normativo impedisce al momento di elaborare dealcolati in Italia, seppur il 36% dei consumatori, secondo un'indagine dell'Osservatorio Uiv, sia interessato a consumare bevande senza alcol. È partita da questa constatazione la tavola rotonda organizzata da Unione Italiana Vini (Uiv) "Dealcolati & Co - Le nuove frontiere del vino" svoltasi nella cornice dell'ultimo Vinitaly di Verona.
Al tavolo, assieme alle testimonianze di sette imprese (Argea, Doppio Passo, Hofstatter, Mionetto, Schenk, Varvaglione, Zonin) costrette a dealcolare all’estero e spesso spostando il business nelle mani di aziende straniere, anche gli analisti di Swg e dell’Osservatorio del vino Uiv-Vinitaly, per fare il punto su un segmento ritenuto complementare ai consumi di vino tradizionale.
«Questi prodotti interessano prima di tutto un potenziale di 1 milione di non bevitori di alcolici, oltre a una platea di consumatori di vino o altre bevande (14 milioni) che li ritiene un'alternativa di consumo in situazioni specifiche, come mettersi alla guida» ha specificato Riccardo Grassi, Analista Swg. Insomma, quella dei dealcolati è una tipologia che potrebbe rivelarsi un nuovo alleato per il vigneto Italia, così come ha tratteggiato nel suo intervento Paolo Castelletti, Segretario Generale di Uiv, il quale ha fatto riferimento proprio ai no/low alcol come nuovo asset di mercato che interesserebbe le aree produttive più in difficoltà.
Le preferenze dei giovani
Secondo Swg, la quota di attenzione verso i vini dealcolati (21%) è più alta nelle fasce più giovani (28% da 18 a 34 anni), il target a maggior contrazione dei consumi di vino che nel 79% dei casi dichiara “importante” se non “molto importante” o “fondamentale” poter ridurre i problemi legati all'abuso di alcol mettendo a disposizione dei consumatori prodotti a zero o bassa gradazione.
«La generazione Z sta dimostrando grande attenzione verso una tipologia in grado di rispondere a un pubblico sober curious sempre più numeroso, negli Stati Uniti e nel mondo» ha detto Marzia Varvaglione, Presidente di Agivi, rimarcando che per l'Italia sia quanto mai necessario capire sul piano culturale che un prodotto non sostituisce l’altro e che insistere su una sperimentazione può riservare risultati molto interessanti.
L'onda salutista delle giovani generazioni negli States
Secondo il focus dell’Osservatorio Uiv, il calo dei consumi di vino tricolore negli Stati Uniti (-13% le importazioni a volume nel 2023) sarebbe dettato in primis proprio dall’onda salutista delle giovani generazioni, oltre che dalla forte competizione di nuove bevande low alcol e da una questione demografica che vede la popolazione di bianchi diminuire in favore di altre etnie, a partire dagli ispanici, culturalmente meno orientati ai consumi tradizionali di vino.
«Negli ultimi anni i vini low alcol sono stati protagonisti di una cavalcata che li ha portati a essere una scelta non più secondaria nell’evoluzione del gusto degli americani, e oggi valgono circa 1 miliardo di dollari. A ciò si aggiungeranno sempre più altre tipologie attente alla propria dieta per un target prevalentemente giovane: i vini low sugar, per esempio, hanno registrato crescite astronomiche nel giro di un quinquennio: da 10 milioni di dollari del 2019 ai 270 dell’anno appena chiuso» ha aggiunto Carlo Flamini dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly.
Attualmente i no alcol rappresentano ancora una nicchia di mercato ma le vendite di vini senz’alcol provenienti dall’Italia hanno sovraperformato il mercato nel 2023, sia a volume (+33% contro +8%), sia a valore (+39% contro +24%).
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