VINO NATURALE – Questa definizione di vino, se considerata a sé stante, può apparire dai confini troppo generici e per certi versi ambigua. Potremmo intenderla come vino da viticoltura che si sforza di non adoperare fungicidi, pesticidi o erbicidi. Significa arare la terra e vendemmiare a mano grappoli non irrorati da anidride solforosa e quindi ricoperti di lieviti indigeni. Significa quindi fermentare il vino con quei lieviti spontanei anziché aggiunti. Non aggiungere al mosto o al vino correttivi. Usare quanto meno anidride solforosa possibile come antiossidante e conservante. Disapprovare pratiche quale l’osmosi inversa, la microssigenazione, i concentratori e altre derive tecnologiche. C’è anche chi riferisce che non sia “naturale” il vino con il controllo della temperatura di fermentazione con refrigeratori. C’è chi vorrebbe continuare a pressare le uve soltanto coi piedi, chi aborrisce addirittura l’irrigazione delle vigne. Se volessimo semplificare: vino naturale significa non usare veleni in vigna, limitando quindi anche l’uso di zolfo e rame, comunque ammessi dalla viticoltura organica. Se poi volessimo tornare alle origini documentate, “vino naturale” sarebbe secondo il Codice di Diritto Canonico (Can.924 – §3) il vino da messa “frutto della vite e non alterato (corruptum in latino)”. E anche su questo si è tanto discusso. Sull’argomento il professore Mario Fregoni ha detto che «il corruptum indica un vino privo di difetti quale lo spunto, l’acescenza etc… Non ha senso stimare innaturale l’aggiunta di anidride solforosa, lo zolfo è presente nell’uva e la solforosa viene prodotta dai lieviti di fermentazione. Come non ha senso pretendere che sia innaturale l’aggiunta di lieviti selezionati, e magari selezionati proprio nella vigna del produttore, dunque autoctoni. Ma sarebbe più opportuno considerare la questione diversamente, cioè ponendo in risalto le pratiche ammissibili nella vinificazione e viticoltura di qualità. Essa non ha parentela con l’industria dei vini incolori, insapori, inodori». Quanto basta per ricominciare a ragionare da zero!
VINO BIODINAMICO – Il vino che deriva da agricoltura biodinamica. Quella che s’ispira alle dottrine del naturalista e filosofo austriaco di inizio Novecento Rudolf Steiner. Intende l’azienda agricola come un sistema complesso e autosufficiente in cui il ciclo della vita deve svolgersi senza forzature esterne, secondo preparati biodinamici in perfetta armonia con le stagioni. Il vino biodinamico secondo i teorici di questa pratica avrebbe sapore e longevità particolari. È frutto della dinamizzazione della materia vivente attraverso alcuni specifici accorgimenti e preparati assolutamente lontani dalla chimica di sintesi.
TRIPLE A – Contro la standardizzazione globale dei vini, nel luglio del 2001 Luca Gargano, della Velier, in sintonia con uno dei più famosi produttori biodinamici di vini bianchi in Francia, Nicholas Joly, redasse il “Manifesto dei vini Triple A”. Vini contro le tecniche agronomiche ed enologiche che mortificano l’impronta del vitigno, l’incidenza del territorio e la personalità del produttore. Quindi “A” come Agricoltori (chi coltiva direttamente il vigneto instaurando un rapporto corretto tra uomo e vite con interventi agronomici naturali), come Artigiani
(ossia metodi e capacità che non modifichino la struttura originaria dell’uva e non alterino quella del vino), come Artisti (il produttore deve avere la sensibilità “artistica” ed essere quindi rispettoso del proprio lavoro e delle proprie idee). Si tratta di vini non filtrati, né chiarificati e con meno SO2 (solforosa) possibile.
Vini da vigne coltivate in assoluta naturalità senza pesticidi, diserbanti ed altre sostanze chimiche che vadano al di là di una poltiglia bordolese (solfato di rame neutralizzato con calce idrata). Vini che non conoscono lieviti selezionati aggiunti ed altre tecniche vinicole apportatrici di falsa qualità.
Eustachio Cazzorla
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