Al ristorante si beve meno per colpa dei limiti imposti dalle normative antialcol, per la crisi e perché cambia l’approccio dei clienti al vino.
Adeguare lista dei vini e modalità di offerta diventa quindi importante, ma bisogna scegliere strategie di lungo periodo perché alla fine l’ultima parola è sempre quella del consumatore.
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Vini semplici, leggeri e di prezzo medio, al calice o in bottiglia di piccolo formato: è questa la strada per soddisfare i clienti dei ristoranti? Sì, almeno secondo gli operatori intervistati per l’appuntamento settimanale di “Aspettando Vinitaly”.
Al ristorante «il cliente che guida si preoccupa di non superare i livelli consentiti di alcol – spiega Paola Bertinotti del ristorante Pinocchio di Borgomanero in provincia di Novara - e questo inevitabilmente coinvolge tutti i commensali. Per questo da molti anni chiedo ai produttori vini a 12,5 gradi e adesso dovranno per forza arrendersi all`evidenza».
«Bisognerebbe diffondere ancora di più il consumo di vino al calice e quello dei piccoli formati» sottolinea Marina Cvetic, della cantina Masciarelli, ma non si tratta di una strategia difensiva; è piuttosto un adeguamento ai nuovi modi di consumare.
Allora c’è chi cerca di introdurre nella lista dei vini nuove proposte - «piccole chicche italiane da proporre con convinzione», come dice Bertinotti -, mentre per il giornalista Luca Maroni occorre «sviluppare brand non più di piccola selezione per essere performanti sul rapporto quali-quantitativo di ogni singola etichetta, altrimenti non si memorizzano e non si diffondono il nome del vino e del produttore».
Una carta da giocare è quella dei vini di importazione anche se per ora, secondo Maroni, l’offerta «rimane davvero bassa e non aggiornata, tanto che i migliori vini dei migliori nuovi produttori mondiali sono clamorosamente assenti dal mercato italiano, specie le annate recenti».
Questo forse perché le motivazioni del consumo non coincidono con quelle dell’offerta. Secondo Andrea Bolis di Bolis distribuzione, infatti, «da una parte c’è la maggiore curiosità del consumatore per etichette che non ha mai bevuto, mentre dall’altra una maggiore marginalità per i ristoratori sui vini esteri, di cui il cliente molte volte ignora il valore effettivo».
Attenzione però perché, dice Cvetic, «sul lungo termine sarà il consumatore a scegliere i vini in maniera più consapevole, secondo il proprio gusto e il proprio portafoglio».
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