L’ottimo esercizio, peraltro ben presentato all’IHM dagli iscritti alla seconda edizione del master in trade management del consumo fuori casa, fornisce il materiale per tornare ad una problematica non ancora del tutto risolta: l’uso di un “linguaggio comune”. Tema presente nel piano programmatico di Italgrob, sul quale, nel 2013, ha aperto un tavolo di lavoro.
Per la cronaca, Riccardo Marinoni, direttore Beverage Network, ha illustrato lo stato avanzamento dei lavori. Una teoria piuttosto controversa, ma comunque interessante, proposta all’inizio del secolo scorso dall’antropologo americano Franz Boas, suggerisce che, ad esempio, per un italiano può bastare un unico termine con cui identificare la neve, ma nella lingua degli eschimesi, per cui rappresenta letteralmente una questione di vita o di morte, di parole ne occorrono di più. Viceversa, comunità linguistiche che abitano in luoghi caldi identificano neve e ghiaccio con un’unica parola, come capita per esempio nella lingua hawaiana con il termine “hau”.
Secondo Boas il vocabolario di una lingua sarebbe fortemente influenzato dalle necessità e dagli interessi delle persone che la parlano e viceversa, che i nostri processi cognitivi siano determinati e limitati, almeno in parte, dalla lingua che parliamo.
Come ho già avuto modo di raccontare, alla filiera HoReCa manca un dizionario “di categoria”. Bollicine Community è testimone del fatto che le Imprese, indipendentemente dalla cultura e dalle dimensioni, usano parole (etichette) identiche associandole a personali (quindi diverse) segmentazioni del mercato e delle merceologie. Il che rende improbabile il confronto e mina la possibilità di aggregare i numeri (in definitiva di estrarre con rigore informazioni). Per quale ragione? Prendendo per buon la teoria di Boas: il territorio e i bisogni non sono forse gli stessi?
Ritornando agli studenti, a prescindere dal risultato, il loro lavoro ha il merito di essere entrato nel vivo di questo problema. Lo ha fatto illustrando le metodologie (definizione degli obiettivi, ipotesi, interviste qualitative e quantitative, tecniche di Factor Analisys e Cluster Analisys) che da una parte consentono di assegnare alle parole significati precisi, dall’altra chiariscono le ragioni della loro esistenza, danno fondamento alla loro capacità (incluso i limiti) di saper cogliere le dinamiche del mercato e indirizzare le strategie aziendali. E’ il percorso che fa delle parole un sapere di categoria.
Alla fine della presentazione, si poteva essere in disaccordo con gli obiettivi e le ipotesti, ma tutti conoscevamo con precisione il significato delle etichette Funzionalisti, Edonisti, Abitudinari ed Esigenti. Auspico che, a partire da questa edizione del master, i lavori meritevoli siano resi visibili attraverso spazi istituzionali (GBI, portale Italgrob, portale dedicato). Alle domande poste da questa edizione dell’IHM, credo si possa strategicamente aggiungere: di quali parole avremo bisogno?
Sono domande alle quali ogni impresa (come è sempre successo) dovrà dare una risposta “privata”, ma che i Consorzi, Italgrob e AFDB possono accogliere accelerando il percorso già intrapreso: da una parte confezionando spazi formativi dedicati agli imprenditori ai manager e alla forza vendite, dall’altra stimolando veri e propri percorsi di ricerca, dando così l’avvio ad una letteratura scientifica che sarebbe di aiuto a tutta la filiera.
Graziano Guazzi
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