28 Ottobre 2013

L`espresso perfetto si impara all`Università


All`Università del caffè per imparare l`espresso perfetto. «Il caffè è come il vino, se è cattivo ci si dovrebbe lamentare, anche se costa solo un euro»: incontro con Moreno Faina, direttore dell`istituto di Illy, che fa corsi in tutto il mondo per professionisti e coffee lover.

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Dalla piantagione, il caffè arriva al bar dopo un lungo e spesso faticoso viaggio intorno al mondo. Purtroppo, però, il risultato è a volte scadente. In una tazzina di caffè ci sono 50 chicchi, ovvero 7 grammi di polvere e gli aromi di tanti Paesi del mondo quante sono le piante che compongono la miscela. Si beve caldo, senza zucchero e senza latte per sentire il ping pong di sapori che esplode immediatamente nella bocca: acido, dolce, cioccolato, caramello, pantostato, fiori. Ma nella pratica non è così.
Moreno-Faina.jpgSpesso il caffè di bar e ristoranti non è all`altezza di un vero amante del caffè. Perché? E soprattutto perché nessuno si lamenta mai? Provate a dare una bottiglia che sa di tappo a un intenditore. È naturale che la spedisca indietro senza alcuna remora. Invece nessuno oserebbe rimandare al mittente un pessimo caffè. «Innanzitutto il caffè costa poco, per questo molti lo ingoiano amaramente e non si lamentano. Tuttavia bisogna riconoscere che anche quando il caffè è buono, e spesso lo è, viene sacrificato da un`attrezzatura inadeguata, maltenuta oppure da un barista incompetente o poco appassionato». A spiegarlo è Moreno Faina, direttore dell`Università del Caffè istituita nel 2000 da Illy a Trieste per divulgare la cultura del caffè e formare professionisti. La struttura ha 25 filiali nel mondo, anche in India, Corea del Sud, in Cina, e prossimamente a Dubai. «La nostra mission è appunto trasferire cultura e qualità attraverso un supporto completo con corsi che vanno dal pratico a gestionale. Nel 2012 abbiamo formato 28 mila professionisti».
Organizzano anche corsi di divulgazione per i consumatori, che vanno dalla storia dell`espresso alla degustazione per imparare a distinguere le tipologie, i gradi di tostatura, i metodi di preparazione e quindi scegliere quello più adatto al gusto personale. Il caffè è un prodotto universale, un piacere condivisibile in qualunque luogo del pianeta, per una convivialità fugace o per lunghe conversazioni. Si produce e si consuma ovunque, e spesso in una tazza c`è un concentrato del mondo: per esempio, si beve in Finlandia (massimo consumatore con minimo 6 caffè pro capite al dì), ma viene dal Brasile, dalla Colombia, dal Vietnam e dall`Indonesia (massimi produttori), e magari è stato tostato in Austria (miglior toaster). Nel blend di Illy ci sono nove ingredienti. Che variano imponderabilmente a ogni produzione. «Basta un`annata particolarmente umida o secca, ed ecco che il sapore cambia - dice il professor Faina -, però il blend deve essere sempre uguale. Per ottenere il risultato bisogna saper equilibrare gli ingredienti e validarne il gusto, certamente con un metodo scientifico ma anche tramite controllo organolettico. Il prodotto per il mercato deve essere uniforme. Il consumatore non sa nulla dei cambiamenti climatici, tuttavia è molto sensibile a ogni piccola variazione di gusto. Ogni produzione va quindi calibrata, aggiustata per raggiungere la formula esatta».

Il processo che dal lavoro di 25 milioni di famiglie in 25 Paesi arriva in una tazzina di caffè è lungo e complesso. Ed è un peccato che dopo tutta l`attenzione spesa nella filiera, passo dopo passo, venga compromessa da una cattiva, quando non pessima, erogazione. Finalmente, con diploma di degustatore e l`autorevolezza che ne consegue, si potrà andare al bar, e se il caffè non è buono dire senza remore: «Questo caffè non è bevibile». E non ci si senta più in colpa nel pretendere un espresso onesto, anche se si è speso solo un euro. In quella somma è già previsto un margine sufficiente di guadagno per il bar.

Fonte Il Sole 24 Ore

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