25 Luglio 2013

Aranciate con +20% di succo: il flop del Ministero


Il 3 luglio scorso, la Direzione generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione ha diffuso una nota in cui afferma che l’incremento dal 12 al 20% di succo di frutta naturale nelle bevande analcoliche a base di frutta è inapplicabile (il cosiddetto "decreto Balduzzi" art. 8, comma 16 e 16bis del decreto legge n. 158/2012).

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Leggi la nota ministeriale

Il tentativo di obbligare i produttori italiani ad aggiungere alle bibite almeno il 20% di succo di frutta, al contrario di quanto accade nel resto dell’Unione Europea, è fallito, così come l’obbligo per i produttori di bibite gassate, con nomi di fantasia, di aggiungere comunque il 20% di succo anche se l’etichetta non fa alcun riferimento alla frutta.

Riassume bene i fatti Alfredo Clerici in un articolo del novembre 2012 su Newsfood precisando che il decreto conteneva due modifiche rispetto alla normativa precedente:

1. le bibite analcoliche gassate e non gassate vendute con il nome di uno o più frutti o con denominazioni che si richiamano alla frutta (aranciata, limonata, cedrata...) avrebbero dovuto contenere almeno il 20% di succo naturale.

2. le bibite con nomi di fantasia (e quindi non le aranciate), comprese quelle che utilizzavano coloranti che dovevano contenere almeno il 12% di succo, secondo il nuovo schema devono arrivare al 20%.

Più volte, in questi anni, si era tentato di abrogare la disposizione perché in aperto contrasto con le leggi comunitarie e, inoltre, costituiva una barriera alla vendita e all’esportazione delle bibite italiane rispetto a quelle vendute dagli altri paesi. Anche le associazioni di categoria Assobibe e Mineracqua avevano sottolineato le criticità della norma per le aziende e l’inutilità del provvedimento dal punto di vista della salute del consumatore. La proposta veniva liquidata come l’ennesima tassa occulta che avrebbe fortemente limitato la produzione e la competitività. Le due associazioni evidenziavano che l’innalzamento del contenuto in succo del 67% (dal 12 al 20%) avrebbe potuto avere come conseguenza la necessità di incrementare la quantità di zucchero, in contrasto con quanto chiesto dalle autorità sanitarie per contrastare l’aumento di peso e l’obesità. Infine, sarebbero aumentati anche i costi alla produzione e di conseguenza  per il consumatore.

Dopo mesi di dibattito con i giornali schierati unanimemente a favore di una norma assurda in aperto contrasto con le normative europee, il castello di carte costruito in modo artificioso è crollato. Per la precisione va detto che il regolamento europeo permette a qualsiasi azienda di produrre bibite con il 20-30-40%... di succo. Non esistono limitazioni in questo senso, basta scriverlo in etichetta.

Fonte Il Fatto Alimentare

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